Il mercato dello shale oil in Cina

Nelle ultime settimane sulla stampa generalista si è parlato di petrolio e gas estratti da schisti rocciosi, un prodotto finora secondario, ma attualmente in crescita, in particolare in seguito allo sfruttamento di nuovi giacimenti situati negli Stati Uniti.

La Cina, nonostante un certo rallentamento, rimane il primo importatore mondiale di petrolio, e segue quindi con interesse anche gli sviluppi del mercato del petrolio di scisto (in inglese shale oil). Gli Stati Uniti, incrementando la produzione interna, stanno lasciando ad alcuni produttori come Nigeria e Venezuela un margine più ampio per le esportazioni, che vengono infatti reindirizzate verso i mercati asiatici. In particolare, il Venezuela, che viene avvantaggiata delle sanzioni economiche all’Iran, può esportare maggiori quantità di petrolio verso la Cina, ripagando così il proprio debito.

La produzione di petrolio di scisto in Cina comincia alla fine degli anni ’50: nel 1959 la produzione cinese era addirittura più del 50% di quella mondiale. Dal 1962 al 1992 invece lo sfruttamento delle risorse convenzionali assicurò alla Cina un approvvigionamento dai costi inferiori, e quindi la ricerca di petrolio di scisto fu quasi abbandonata.

Negli ultimi anni l’aumento del fabbisogno e una rinnovata convenienza economica hanno determinato la ripresa dell’estrazione, così che la produzione cinese abbia raggiunto nel 2008  le 400 mila tonnellate (soprattutto dai giacimenti di Fushun nel Liaoning), e nel il 2012 circa le 618 mila tonnellate. In Cina questo tipo di petrolio è impiegato prevalentemente per regolare il mercato e per essere introdotto nei cicli di raffinazione.

Nel 2013, invece, il rallentamento dell’economia mondiale sta trascinando con sé anche il mercato del petrolio di scisto, determinando sovrapproduzione e un calo dei prezzi fino al 18,54% nel primo semestre, secondo una tendenza che non sembra potersi invertire a breve.