Sviluppo cinese e contributi statali

Nella sua fase attuale, il modello economico in Cina è quello del socialismo con caratteristiche cinesi, un ibrido tra programmazione statale e libero mercato. Questo compromesso ha funzionato efficacemente negli anni recenti, ma è messo in crisi dalle sfide dell’economia globale degli ultimi anni, che richiedono un dinamismo e una capacità di innovazione incompatibili con i tempi e le dinamiche dell’intervento statale.

In un articolo pubblicato su Chinanews viene intervistato il professore Cao Jianhai, ricercatore dell’Accademia cinese di scienze sociali: la sua tesi è che l’intervento dello stato dovrebbe essere limitato per assicurare una ripresa economica adeguata. Segue un adattamento della traduzione.

Negli ultimi anni la Cina si è concentrata soprattutto sulla velocità dello sviluppo economico dimenticando che la velocità, da sola, può determinare instabilità delle strutture economiche, dei prezzi, e della finanza, e conseguentemente instabilità sociale.

I più comuni motori dell’economia cinese sono stati lo stimolo alla crescita mediante la svalutazione della moneta, oppure attraverso precise strategie delle finanze pubbliche, in particolare la costruzione di grandi infrastrutture, cioè in un modo molto diverso dalle regole della crescita storica a livello globale, in cui il traino è stato semmai la proliferazione di aziende diverse.

Nel modello cinese invece la crescita dipende dagli investimenti, in particolare nell’industria pesante e nelle imprese statali: ma quando le aziende cinesi si confrontano con quelle internazionali, più efficienti, lo scarto è notevole. Infatti le nostre imprese dipendono in buona parte dalla protezione della programmazione statale, con le relative commesse e sovvenzioni, che assegnano al governo il ruolo di fattore di crescita.

Lo stimolo economico risponde a un’esigenza di breve termine del keynesismo, in cui l’insufficienza di investimenti o di consumo deve essere integrata con nuovi investimenti. Nel lungo periodo però i continui apporti di capitale alterano la capacità produttiva,  e determinano surplus di produzione, e quindi perdita di efficienza. Gli stimoli economici quindi difficilmente riescono a sostenere uno sviluppo sano e continuo, che semmai deriva dalla forza intrinseca e dalla solidità dell’azienda.

Dall’economia di mercato prosegue la crescita delle imprese private, mentre le imprese statali non sono adatte a una competizione con queste. Se entrambe infatti affrontano il mercato senza sperequazioni le imprese private hanno la meglio. Il futuro della Cina non aspetta altro che avere le sue Apple o Microsoft, imprese dotate di competitività mondiale e capaci di trainare l’occupazione, la ricerca scientifica, e anche di aumentare il gettito fiscale.

Per questo motivo penso allora che occorra limitare gli investimenti governativi e anche delle aziende statali, che spesso mancano di vincoli finanziari e si rivelano di scarsa efficacia, e investire queste somme risparmiate nella costruzione del welfare, nello stimolo dei consumi interni, e nella riduzione delle tasse per stimolare le imprese private.

Inoltre se si vuole innescare un nuovo tipo di sviluppo mosso dal consumo, in particolare quello legato all’immobiliare, bisogna abbassare i prezzi degli appartamenti e contrastare la semplice speculazione, per incentivare l’acquisto per finalità di residenza; inoltre ritengo che l’urbanizzazione in Cina non possa procedere semplicemente verso una espansione all’esterno delle città, ma debba anche attivarsi per il recupero degli appartamenti vuoti. L’attenzione verso la destinazione ad uso abitativo degli appartamenti vuoti può così diventare un promettente ambito di investimento adatto alle imprese private.