Colpirne uno per educarne cento: “杀一儆百”

Colpirne uno per educarne cento: questo slogan, come molti altri del resto, oltre ad aver segnato le fasi salienti della storia della Cina moderna, è entrato nell’immaginario collettivo di un’intera generazione di occidentali, soprattutto tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta.
Rileggendo questo ed altri motti, si può ricomporre il quadro sociale politico del tempo, e utilizzarli per dare nuova luce alla complessità contemporanea.

Colpirne uno per educarne cento, in cinese (杀一儆百) si compone di quattro caratteri che letteralmente hanno i seguenti significati:

杀 (sha): uccidere, distruggere
一 (yi): uno
儆 (jing): ammonire, avvisare
百 (bai): cento

Slogan che affonda le radici in una tradizione lontana nel tempo, è stato negli anni ripescato e rimaneggiato per esigenze a volte assai diverse da quelle che ne avevano determinato la comparsa.
“Colpirne uno per educarne cento” comparve nell’antico Han Shu (biografia della storia dinastica degli Han) come motto riassuntivo dell’azione del funzionario Yin Wenggui (尹翁歸), rispettato dal popolo per il puntuale svolgimento delle sue mansioni, per la sua natura integerrima ed il forte senso di giustizia.

Yin Wenggui era rispettoso della legge, non accettava favori, e si premurava di controllare in modo pignolo la condotta dei propri sottoposti. In caso ravvisasse una qualche imparzialità, era solito avviare un procedimento disciplinare per intercettare il colpevole e in seguito decidere la pena adeguata da comminare, in modo che quel comportamento deplorevole e la sua conseguente sanzione potesse servisse da ammonimento a tutta la comunità. Colpendone uno dunque, se ne potevano educare cento. Lo slogan aveva a che fare con le regole del buon governo, non era in principio legato ad una parte politica o assunto a simbolo di una qualche rivoluzione.

In Occidente, lo si attribuisce generalmente al presidente Mao, nonostante le origini del motto siano più remote. Durante gli anni della Rivoluzione Culturale, le Guardie Rosse se ne erano servite come giustificazione ideologica ai loro eccessi: con il fine dell’educazione su larga scala trovarono una scusante a massacri e azioni che di formativo avevano poco a che vedere. La punizione esemplare doveva fungere da deterrente al pensiero di comportarsi in modo differente da quanto in linea con i dettami della Rivoluzione Culturale.

La fama di monito e l’accezione violenta sviluppatesi tra le Guardie Rosse venne recepito in Europa, in particolare in Italia, da gruppi di estremisti, attivi sulla scena politica degli anni Settanta. Il motto divenne celebre quando le Brigate Rosse, il 3 marzo 1972 fotografarono l’ingegnere Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, con un cartello al collo che diceva “Mordi e fuggi. Niente resterà impunito. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato!”.

Da un semplice richiamo per un lavoro non svolto a dovere ad una spinta verso azioni di repressione con sfumature violente e a tratti criminali, il passaggio fu gradualmente degenere.

Coprire malefatte o azioni quantomeno dubbie dal punto di vista etico dietro slogan di poche parole e dal contenuto interpretabile è stato gioco facile per distorsioni e utilizzi non proprio ortodossi di certi motti, che a ben guardare, avevano già fatto la loro comparsa molti secoli prima di certi movimenti politici.

Il latino Unum castigabis, centum emendabis ne è esempio lampante.

Forse il bandolo della matassa è riposto, come spesso, nella moderazione e nella corretta interpretazione da seguire nel mettere in pratica quanto era nelle intenzioni di chi per primo aveva inventato quello slogan.

荣晶玲

Immagine: un manifesto di propaganda rivoluzionaria. Fonte: qua, modificata.