Pantaloni ecologici – 开裆裤

开裆裤 – kāidāngkù  – letteralmente “pantaloni aperti”: sono un indumento per bambini ancora piuttosto diffuso in Cina, soprattutto nelle zone rurali.

In genere di tessuto sottile, questi pantaloni speciali hanno un taglio all’altezza del cavallo che genera una fessura quando chi li indossa si abbassa piegando le gambe. Diffusi nelle campagne e tra le famiglie povere, sono però visibili anche nelle aree urbane, principalmente nei quartieri periferici.

Vengono usati per i bambini che ancora non riescono a regolare il bisogno fisiologico di andare al bagno. Anziché impacchettarli in pannolini e tutine, i piccoli vengono lasciati con le pudenda all’aria aperta. Al momento del bisogno, i genitori li aiutano ad accovacciarsi e a liberarsi di quanto da espellere.

Pratici, economici e decisamente ecologici, i kāidāngkù sono una delle prime fonti di sgomento per gli occidentali, turisti e non.

Può capitare infatti, non così di rado come si possa immaginare, di vedere bambini piegati sulle ginocchia torcersi con evidenti espressioni del volto, genitori che sollevano i piccoli sopra ad un cespuglio o ad un cestino dei rifiuti, o semplicemente che li accompagnano a lato della strada incitandoli senza imbarazzi a far quello che sentono.

Con i pantaloni aperti non c’è bisogno di fare la fila ai bagni pubblici. Si sceglie un punto, ci si ferma, ci si piega, e il gioco è fatto.

“Training toilet” vengono chiamati nel mondo anglosassone.

Nonostante nulla di strano ci sia nel loro uso e nella loro diffusione, forse il punto a loro sfavore, che sta spingendo verso un progressivo abbandono, è il crescente senso estetico legato ad una nuova concezione di pudore.

I pantaloni aperti hanno a che fare con una funzione fisiologica del corpo. Di cui nulla c’è da vergognarsi. È un aspetto normale della vita di tutti, piccoli e grandi. Un bisogno fisico costante, nel passato, nel presente e nel futuro. Non è la necessità di dare sfogo a certi bisogni che si potrà eliminare con il tempo.

La scelta di rinunciare ai kāidāngkù in favore dei pannolini usa e getta sembra rispecchiare una nuova visione del corpo e delle sue funzioni. In campagna e in generale tra i meno abbienti, dove la sopravvivenza è l’aspetto centrale dell’esistenza, ci si sofferma su quelle che sono le necessità: mangiare, bere, dormire, riprodursi, muoversi e depurare il corpo. Come nel regno animale, tutte le suddette attività sono legate intrinsecamente all’uomo in quanto essere vivente. Chi lotta per vivere non si può concentrare sul cercare ‘il luogo e il tempo migliore’ per espellere i propri bisogni. Li fa e basta. Senza altri pensieri.

Quando si fa il passaggio ad una società più strutturata, dove oltre ai bisogni strettamente corporali, divengono importanti anche altri fattori, la questione cambia. Se la priorità del vivere quotidiano non è la pura e semplice soddisfazione di una necessità, si finisce per costruire una scala di valori che poggia su basi diverse dal bisogno fisico di sopravvivenza. Il corpo si presta ad assumere connotazioni che superano il suo essere un insieme di organi deputati all’espletamento di funzioni fisiologiche, per divenire incarnazione di ideali di natura astratta, e non da ultimo estetica.

Forse è a questo punto che nasce una sorta di pudore verso certe funzioni, non estetiche anche se funzionali, che diventano da celare, perché non offuschino quell’aura di beltà e grazia di cui è intriso il corpo umano della contemporaneità. Il vedere un bambino chinarsi e lasciare un bisognino per la strada non è “esteticamente accettabile” se si considera più importante l’immagine che la necessità.

Nella differenza delle condizioni di vita tra città e campagna sta la diversa percezione di cosa rappresenta il corpo. Se ad esso sono abbinate qualità di raffigurazione e presentazione di un’immagine (una sorta di biglietto da visita personale), difficilmente si vorranno mostrare gli aspetti che più avvicinano l’uomo all’essere animale. Nel considerare invece le necessità corporali per quel che realmente sono, non bisognerebbe sentire un eccessivo senso di pudore. Il bisogno di scaricarsi è alla stregua del bisogno di mangiare o di bere, verso cui non si prova alcun imbarazzo.

I kāidāngkù quanto a costi, praticità e comodità sono davvero un ottimo prodotto. Se si considera inoltre l’ondata ecologica degli ultimi anni, sarebbero una soluzione all’annosa questione della quantità di rifiuti non riciclabili prodotti dai continui cambi di pannolino dei bambini.

Se la società virerà verso un mondo a tinte green, come pare di recente, forse i pantaloni “con fessura” potrebbero diventare la nuova moda nell’abbigliamento per l’infanzia.

荣 晶 玲

Immagine: una illustrazione dei kaidangku. Fonte: qua, modificata.