La manifestazione artistica come resistenza all’urbanizzazione e attaccamento alle tradizioni a Nan’ao

Più di tre decenni fa la situazione economica di una parte rilevante della popolazione cinese era davvero allarmante: molte famiglie vivevano con un reddito annuo insufficiente a garantire loro condizioni esistenziali dignitose. Successivamente al piano di riforma economica di Deng Xiaoping del 1979 l’economia della Cina ha cominciato a crescere a ritmi esponenziali.

Il boom economico ha generato moltissimi cambiamenti strutturali. Ha dato voce all’ala riformista della classe politica, ha potenziato le zone costiere, ha allentato il controllo centrale sulle province, sulle imprese di Stato e sull’iniziativa individuale. Ha posto l’interesse per l’economia su un livello superiore rispetto alla politica, aprendo le vie commerciali a tutto il mondo, anche a quei Paesi con diversità di vedute ideologiche. In questi ultimi decenni persino le idee della Rivoluzione sono state diffuse con minore intensità all’estero, al fine di auspicare livelli massimi di sviluppo economico e di monopolio commerciale (Overholt 1993).

Ma oltre a questi cambiamenti radicali, nonché alla sempre maggiore centralità della Cina sullo scacchiere economico e commerciale globale, cosa ha prodotto ulteriormente la rapidissima espansione economica? Tutti gli strati della popolazione hanno tratto giovamento in modo uniforme da questi cambiamenti? Sicuramente no. Ma non è stato soltanto l’arricchimento di alcuni gruppi sociali a discapito di altri, sempre più impoveriti, ad aver creato tensioni sociali.

La frattura che è stata creata dal cosiddetto “risveglio della Cina” (Overholt 1993) è, prima ancora che economica e sociale, di natura culturale. L’urbanizzazione selvaggia che ha interessato i centri abitati della Cina negli ultimi decenni ha progressivamente cancellato l’assetto urbano tradizionale, facendo sì che le case dei vecchi villaggi diventassero solo un ricordo.

Una cultura globalizzata, con tutte le sue conseguenze di ibridazione e squilibrio socioculturale, si è progressivamente sostituita ai modi di vivere tradizionali. Questo ha causato nella popolazione una lenta trasformazione dei modi di vivere e delle condizioni abitative che è avvenuta non senza una dolorosa accettazione, da parte della popolazione che ha vissuto direttamente l’esperienza devastante del displacement (gli sgomberi di massa per la realizzazione di progetti di sviluppo), di un graduale genocidio culturale, in cui aspetti importanti dell’esistenza collettiva sono stati eradicati a favore di una spietata industrializzazione.

Città cinese
Le grate alle finestre e ai balconi a Shanzhen

La fase liminale di questo delicato e doloroso passaggio è stata caratterizzata, in alcune zone popolari della città di Shenzhen, da numerosi episodi di suicidio. Le sbarre metalliche che si vedono su gran parte dei palazzi avrebbero qui, tra l’altro, anche la funzione di deterrente da eventuali tentativi.

Per stemperare il forte disagio collettivo e il senso di anomia prodotto dal displacement, tali edifici sono stati posti molto ravvicinati tra loro, in modo da ricordare approssimativamente l’antico assetto dei villaggi, in cui le case erano distanti di pochissimo l’una dall’altra.

Gli abitanti di Shenzhen non reagiscono solo con la disperazione a questo fenomeno che ha stravolto le loro esistenze. Il potenziale critico, reattivo dei soggetti trova un canale privilegiato nella creatività, nella poetica della manifestazione artistica.

Nel 2014, durante un viaggio di istruzione con altri studenti universitari e con la mia insegnante di cinese, capitammo a Nán’ào (南澳), località di pesca a sud della zona economica speciale. Eravamo stati invitati da Zhou Wei (周维), fotografo e pittore che si batte da sempre contro l’urbanizzazione selvaggia dell’intera circospezione di Shenzhen.

L'artista
Davanti al porto

Quando arrivammo, Zhou Wei ci mostrò la sua ospitalità nel migliore dei modi. Ci condusse nell’atrio, poi salimmo le scale che odoravano di sale e di pesce, come tutta la sua casa ornata di vari dipinti, all’interno della quale regnava sovrano un asfissiante caldo tropicale.

Dal suo balconcino rotondo, sul quale una sedia di legno era posta, imperante, nel centro, si scorgeva il porto con le sue barche: avevano resistito imperterriti alla minaccia incalzante del displacement, soprattutto grazie all’opera di Zhou Wei. Egli era riuscito, grazie alla sponsorizzazione di un filmato e di un set fotografico aventi per oggetto il villaggio situato nella località di Nán’ào e il porto, a sensibilizzare le autorità governative e a fermare i lavori di demolizione del villaggio  e della successiva edificazione di imponenti palazzi moderni.

Appena entrati, Zhou Wei ci mostrò una porta sulla quale egli stesso aveva dipinto il volto di una divinità, e al centro della quale, a dividere questo da un altro volto ad esso simmetrico, spiccavano un’aquila e un punto interrogativo. Con quella simbologia, Zhou Wei, come ci spiegò, si chiedeva dove fosse finito il legame tra il loro mare e il villaggio.

carattere cinese mare
Il carattere “mare”

Zhou Wei ci fece anche un servizio fotografico, scattò delle foto di gruppo sullo sfondo del grande pannello su cui aveva dipinto un enorme ideogramma di “mare” (海), che conteneva molti radicali di acqua, a simboleggiare l’importanza del mare e della sua visuale per la gente del luogo.

La casa di Zhou Wei è una testimonianza diretta della sua opera. I suoi dipinti sulle pareti sono una nicchia creativa che sembra voglia resistere strenuamente alla dittatura dell’omologazione.

L’aquila bianca, al centro dei due volti simmetrici di divinità dipinti sulla porta, rappresenta il legame tra gli abitanti, le loro tradizioni e il mare, un legame che diventa sempre più incerto, rischiando di perdersi nel rapido vortice della globalizzazione. Dove si può collocare oggi questo legame? Dove va rintracciato? Si può ancora affermare la sua esistenza? Il punto interrogativo in rosso, al centro delle ali dell’aquila bianca, sembra simboleggiare il silenzio che circonda oggi questi interrogativi. E’ come se i cittadini di Shenzhen e dei suoi dintorni non avessero avuto il tempo di chiedersi come si stesse evolvendo il loro legame con le loro risorse naturali e culturali, perché l’industrializzazione e l’urbanizzazione aggressiva sul modello americano hanno dato poco spazio alle riflessioni umane.

Pittura cinese

La divinità a sinistra ha gli occhi sbarrati e la mano sulla fronte, nel tentativo di scorgere qualcosa all’orizzonte, forse uno scorcio di mare. Il suo sguardo sembra esterrefatto, indignato, poiché sembra scorgere di fronte a sé solo il rischio della falcidia di una delle più antiche e radicate tradizioni, della distruzione della stessa conformazione geografica della località di Nán’ào.

L’arte può rappresentare in una situazione come questa un potente strumento critico a disposizione di chi assume posizioni dissidenti, come in questo caso il fotografo Zhou Wei.

Il potenziale espressivo dell’arte fa appello ad una protesta pacifica e intensa allo stesso tempo, che abbia come unico scopo quello di ricondurre ad una riflessione collettiva su cosa appartenga alla comunità oltre che al tessuto urbano.

I continui richiami di Zhou Wei all’importanza del mare come patrimonio culturale e naturale in cui è radicato il vissuto degli abitanti di Nán’ào sono esemplificativi a riguardo. Il mare non deve sparire alla vista, sostiene il fotografo attraverso la sua opera. Deve rappresentare la risorsa principale, ciò che lega gli abitanti alle loro origini, alle tradizioni e alla loro storia.

Giuseppina Corrado

Immagine di copertina: barche nel porto di Nan’ào. Fonte: qua, modificata. Le altre foto sono di proprietà dell’autrice.