Imparare il cinese… in mille modi (II parte)

Antropologia: disciplina che si occupa dell’essere umano sotto diversi punti di vista.

Università di Milano, sede distaccata, pochi studenti, un ventaglio di umanità.

L’uomo, la cultura, la civiltà: questi sono i pilastri del piano di studi.

Sin qui niente di imprevisto. Almeno fino a quando al secondo anno di corso il Prof. Banfi, referente del corso di laurea, decise di dare una svolta a quel percorso accademico che ai suoi occhi da lungimirante studioso pareva un po’ obsoleto. O meglio anacronistico. Studiare i Maori, i Baluch o gli Argonauti di Malinowski pareva lontano anni-luce dal groviglio composito di etnie e tradizioni che andavano componendo la società negli anni duemila.

«Ognuno di voi dovrà scegliere un’area di ricerca extraeuropea: Cina, Giappone o Medioriente. Non è un’opzione, è un obbligo. Andate a sentire una lezione di prova e poi fatemi sapere.»

Oltre lo sgomento era rimasto poco. Il tempo per la scelta era limitato. Una settimana.

Quei caratteri scritti con poesia sulla lavagna sfrigolante sotto le staffilate del gesso mi lasciarono senza fiato.

La scrittura era un’innata passione da sempre. Quella scrittura non poteva che stregarmi.

Cinese.

Storia, lingua, istituzioni, cultura, filosofia, letteratura: un mondo di informazioni da esplorare. Per ogni concetto si apriva una trama di collegamenti da far invidia ad una ragnatela. Muoversi lungo quei fili intricati e sottilissimi era davvero complicato. Troppe direzioni a disposizione, troppe strade da percorrere. Il tutto, per giunta, senza una bussola.

Lo studio della lingua era intrigante e svilente, troppo diverso dall’italiano, per questo tanto affascinante e tanto oscuro.

La laurea, il lavoro, la famiglia.

I motivi per accantonare lo studio non mancavano mai. Dopo un lungo digiuno di caratteri, l’occasione della borsa di studio di Hanban pareva un segno del destino.

Un classico 缘分.

Quella Cina tornava prepotentemente sulla mia strada, già ampiamente tracciata.

Tre anni di studio. Seconda laurea. In una classe composta più da occhi a mandorla che da visi bianchi.

Lo smezzarsi tra lo studio e il lavoro ha moltiplicato la mia velocità di apprendimento inizialmente rallentata dalla polvere dell’età e dalla ruggine del poco allenamento.

Vivere in riva al mare circondata da coreani e giapponesi ha esacerbato ogni remora nel pronunciare quelle bizzarre sillabe MA-BA-LA e ha dato il via libera alla mano affascinata da inchiostro e carta di riso.

Un anziano maestro di calligrafia, la cuoca di una bettola e l’allenatore di pallavolo hanno fatto il resto.

La semplicità del loro parlare quotidiano mi ha condotto nelle viscere più recondite del paese e dei suoi abitanti.

Dal dentro. Dalle persone.

Leggi anche la Parte I, Parte III e Parte IV!