Essere zen – 禅

“Stile di vita zen”, “giardino zen”, “filosofia zen”, “meditazione zen”, “proverbio zen”, “atteggiamento zen”: al giorno d’oggi questo termine è riscontrabile in circostanze molto diverse tra loro, con accezioni non sempre del tutto chiare. Quest’etichetta viene applicata quasi indistintamente ad ogni ambito della vita e del sapere.

La parola zen è conosciuta in Occidente con la pronuncia giapponese, ma la versione originale, cinese, è 禅 (chán), corrispettivo del termine sanscrito dhyāna traducibile come “visione”, e in seconda battuta come “meditazione”.

In cinese chán fa riferimento ad una corrente buddista, caratterizzata da un processo graduale di consapevolezza e conoscenza di sé attuato attraverso la meditazione.

Tramite la ripetizione di esercizi e pratiche si allena la presa di coscienza in un percorso a tappe che conduce all’assunzione di uno stile di vita che mira all’equilibrio interiore dei singoli e al loro stare in armonia con l’ambiente.

Lo zen così inteso è di difficile spiegazione: non è una scienza caratterizzata da regole e precetti che mira ad un obiettivo razionale e definito, ma è più uno stato mentale in divenire, legato all’individualità di ciascuno.

Essere zen è una frase utilizzata, solitamente in modo piuttosto superficiale, per indicare un’attitudine di calma e distacco da quello che accade nella realtà del vivere quotidiano.

Il raggiungimento di una condizione di svincolo dal materialismo delle cose e di libertà dalle costrizioni, per vivere in pienezza e consapevolezza la connessione con il proprio essere nel mondo.

Come se il divenire consapevoli della propria interiorità fosse la chiave per trovare una propria collocazione.

Ma cosa significa consapevolezza?

Questa parola è divenuta popolarissima tra chi si fa portavoce e modello di filosofie olistiche di matrice orientale.

Derivato da con-sapere, il termine consapevolezza indica cognizione, presa di coscienza di qualcosa che non è un sapere accademico o mnemonico, ma una costruzione del proprio modo di rapportarsi al mondo.

Non essendo una nozione, non si può inculcare o insegnare. Si tratta di una percezione identitaria di sé, di conoscersi interiormente.

La consapevolezza non è un oggetto concreto, è una forma mentis da applicare alla propria esperienza sensoriale, che è quel che viene considerato lo zen dalla maggior parte delle persone.

Essere zen raramente si riferisce a precetti buddisti, a forme pratiche di meditazione o ad astrusi riti legati a filosofie orientali.

Più facilmente richiama un modo di comportarsi distaccato e consapevole: uno stato mentale vigile che consente di osservare lo scorrere dell’esperienza, essendone sì testimoni, ma senza farsene intaccare in maniera decisiva. Una posizione neutrale di fronte all’esperienza, che la lascia scorrere così com’è, senza pretendere di modificare o respingere ciò che accade.

Il concentrarsi sulla propria consapevolezza passa attraverso la respirazione, il movimento, il pensiero e lo stile di vita in generale.

Imparare ad ascoltarsi, a prendersi del tempo per sé e per assaporare ciò che si sta vivendo, per osservare l’ambiente e le persone con le quali si ha a che fare.

Approcciarsi alla vita in modo equilibrato, con il giusto distacco, misurando le proprie reazioni, plasmando il proprio comportamento per mantenere la calma in situazioni faticose, affrontare le difficoltà in modo efficace e aumentare la propria stabilità interiore.

Lo zen può essere quindi definito come una forma di viaggio, un’esplorazione verso il perseguimento della miglior versione possibile di sé.

La consapevolezza del proprio agire e del proprio incedere consente di ampliare la comprensione dei fenomeni, sviluppare pazienza e disciplina, evitando di incappare in meccanismi frenetici e compulsivi, che alla lunga possono scatenare aggressività e impulsività.

Essere presenti a se stessi significa prestare attenzione a ciò che si sta facendo o pensando senza forzare alcun processo.

Riflettere senza fossilizzarsi e agire senza imporre consentono alle nostre forze di muoversi liberamente senza aggredire gli ostacoli presenti sulla strada, ma proseguendo lungo il percorso aggirandoli, concedendosi l’opportunità di optare per un’alternativa per giungere comunque alla meta desiderata.

Immagine: illustrazione della storia “dell’albero morto” (枯木禅), nella quale un monaco si mostra del tutto insensibile alle avances tentatrici di una giovane donna. Fonte: qua, modificata.