La dislessia è un disturbo che si manifesta nella difficoltà alla lettura, che risulta poco fluida ed esitante e tale da incidere negativamente sulla capacità di comprensione dei testi scritti e su tutto il processo di assimilazione dei contenuti.
In anni recenti la sensibilità verso la dislessia e altri disturbi dell’apprendimento è aumentata, e in particolare si è focalizzata sui primi anni di scuola primaria, quando il bambino si confronta in modo diretto con lettere e numeri. Sebbene esistano diversi gradi e varianti del disturbo (non sempre presenti insieme), alcune caratterstiche del testo scritto rappresentano un ostacolo tipico per chi soffre di dislessia, in particolare la somiglianza di molti dei grafemi che compongono il repertorio della scrittura latina.
In cinese il sistema di scrittura non prevede una corrispondenza tra grafemi e suono, inoltre la varietà delle forme grafiche è incommensurabilmente maggiore rispetto a quella dell’alfabeto latino: queste differenze sostanziali fanno sì che alcune persone che trovano difficoltà su testi scritti con l’alfabeto latino sostengano di non riscontrare ostacoli con il cinese.
Diversamente dalle lingue alfabetiche, in cinese il significato, e in seconda istanza il suono, del carattere solitamente vengono colti “in blocco”, e non per costituenti (lettere-sillabe) organizzati in sequenza. L’importante è la forma complessiva del carattere, che peraltro si conclude in un singolo monosillabo, permettendo di concludere più frequentemente il processo di decodifica. Inoltre i tratti costituenti il carattere hanno ciascuno una propria collocazione e disposizione nello spazio quadrato, e ciò potrebbe facilitare l’elaborazione del segno grafico da parte del cervello. In un certo senso, la complessità di scrittura può rendere la lettura più agevole.
Tuttavia la situazione non si risolve con l’osservazione di differenze teoriche, ma deve includere l’esame dei processi neurologici e linguistici effettivi che intervengono effettivamente nella lettura. Con questo approccio si è verificato che anche tra i cinesi madrelingua, sebbene parzialmente con altre modalità, la dislessia è un disturbo assai diffuso. Il problema in Cina è stato sottovalutato a lungo, per molto tempo si è ritenuto avere una incidenza minore che on Occidente, ma ciò era dovuto a un pregiudizio derivante da una scarsa conoscenza e consapevolezza.
Una prima stima, limitata a un campione di studenti di Taiwan, risale alla fine degli anni ’70, e indicava un’incidenza del 2,91%, un valore molto al di sotto del valore attuale relativo alla Gran Bretagna (10%) e comunque inferiore a quello attuale italiano (circa 4-5%). Tuttavia una ricerca più matura e comparativa condotta nel 1982 (Stevenson) ricalcolava per Taiwan il valore del 7,5%, e ulteriori studi confermavano una prevalenza non inferiore rispetto ai paesi occidentali.
Il professor Liu Xiangping dell’Accademia di Psicologia dell’Università Normale di Pechino testimonia di un interessamento crescente da parte di studiosi e autorità statali, e rileva come in base ad alcune statistiche al terzo anno della scuola primaria il 17% degli studenti non raggiunga i livelli minimi nella lettoscrittura, e la percentuale sale ulteriormente con l’avanzare nel curriculum scolastico. Tra questi, il 3%-5% sarebbe diagnosticabile per dislessia.
Finora quindi in Cina l’attenzione verso questa problematica è stata poco coltivata, ed è possibile che la reale incidenza del fenomeno sia ancora sottovalutata o comunque misconosciuta.
Sul sito Zhihu si legge una accurata disamina del fenomeno in Cina: in alcuni bambini cinesi affetti da dislessia la capacità di riconoscimento dei caratteri, che ci si apetta essere immediata e globale, può frammentarsi nell’esame e ricomposizione di tutti i singoli tratti, complicando e rallentando il processo eccessivamente. Tra l’altro molti caratteri cinesi differiscono per dettagli grafici che rischiano di sfuggire a chi non riesce a collocare spazialmente i vari componenti. Altri inconvenienti che si verificano spesso sono il saltare la lettura di alcuni caratteri o di aggiungerne altri non presenti.
La convinzione che i casi di dislessia con il cinese siano inferiori è infatti ancora comune, anche se ormai sorpassata dai dati sperimentali. È possibile invece che persone affette da dislessia dovuta in particolare ai meccanismi che si innescano con la lettura delle lingue alfabetiche non subiscano lo stesso effetto con il cinese. Questo dipende dal fatto che le aree cerebrali che si attivano durante la lettura dei due tipi di lingue sono differenti: spostando la sede dell’attivazione quindi le manifestazioni potrebbero essere del tutto diverse. L’attenzione degli studiosi si è concentrata non solo sulle funzioni cerebrali, ma anche sulle strutture, in particolare quelle del lobo frontale sinistro.
Una differenza di fondo nel meccanismo di decodifica tra le due categorie di scrittura, occidentale e cinese, è strettamente legata ai deficit neurologici e linguistici che originano dal cervello. Anche se alcune caratteristiche della dislessia travalicano la scelta del sistema di scrittura, esistono delle differenze nelle modalità di attivazione cerebrale. Per questo motivo anche i meccanismi che danno luogo alla dislessia sono diversi tra il cinese e le lingue alfabetiche, e di conseguenza anche le misure per affrontare il problema devono essere in parte diverse. L’esperienza occidentale non può essere sfruttata a pieno con il cinese, ma bisogna trovare soluzioni nuove dall’esame della situazione concreta.
In Cina però alcuni ambiti clinici e scientifici, come la psicologia e la neuroscienze cognitive, non hanno ancora raggiunto una sufficiente maturità e diffusione sul territorio nazionale, tale da permettere di analizzare il fenomeno in modo estensivo e di proporre soluzioni condivise. La conoscenza del fenomeno da parte stessa della popolazione, in particolare studenti, famiglie ma anche insegnanti, è ancora molto insufficiente. La mancata comprensione delle manifestazioni della dislessia fa sì che studenti con capacità cognitive normali vengano penalizzati dai docenti, in un circolo vizioso di rimproveri, compressione dell’autostima e performance sempre meno adeguate.
Il pregiudizio di una scarsa incidenza rallenta peraltro il processo di valutazione clinica, di certificazione, e di applicazione di adeguate contromisure, penalizzando di fatto gli studenti colpiti. Eppure già nel 2004 una ricerca condotta a Pechino dall’Accademia delle scienze dell’educazione rilevava come circa il 10% degli alunni di scuole elementari riteneva di avere difficoltà nello studio nonostante capacità intellettive normali. Generalmentequesti studenti vengono tacciati di pigrizia o di scarse capacità. Per loro sarebbe auspicabile una maggiore diffusione della consapevolezza e di conoscenze specifiche, e l’implementazione di buone pratiche a scuola.
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Immagine: i tratti fondamentali dei caratteri cinesi.