Dipendenti statali e licenziamenti

La parola cinese per indicare la perdita del lavoro è shiye (失业), ma questo termine si applica principalmente ai lavoratori del settore privato; per i lavoratori del settore pubblico si usa l’espressione xiagang (下岗), traducibile approssimativamente come “smontare la guardia”. Lo status del lavoratore in xiagang ha dei tratti in comune con la cassa integrazione, in quanto lo stipendio non viene erogato, ma si rimane ancora formalmente impiegati fino ad un eventuale ricollocamento.

Tuttavia durante le fasi di riforma del sistema produttivo, in alcuni settori pubblici sono stati avviati licenziamenti di massa di lavoratori che non sono poi più stati richiamati. Quest’anno ricorrono i 15 anni dal periodo nel quale si fece un ricorso massiccio allo xiagang: la tendenza era già in atto, ma il picco si ebbe nel triennio 1998-2000, quando furono licenziate oltre 21 milioni di persone, in particolare nelle province del Nordest, le meno sviluppate a livello industriale.

Le persone coinvolte subirono pesanti conseguenze, non solo dal punto di vista economico (in molti si ridussero letteralmente alla fame, anche perché non esistevano quasi ammortizzatori sociali), ma anche sociali e psicologiche, in quanto tutto il loro sistema di riferimento era stato smantellato. Allo stesso tempo però le grandi riforme la avviarono la Cina ad un’economia di mercato più efficiente, così che in poco tempo si verificò un rilevante aumento della ricchezza e delle opportunità di guadagno. Molti settori fino ad allora poco sfruttati cominciarono a interessare fasce crescenti di lavoratori, come accadde nel settore minerario, immobiliare, del commercio estero, fino alla nascente industria di internet.

In quel periodo alcuni dipendenti pubblici licenziati provarono a riqualificarsi e si rimisero nel circuito del lavoro migliorando di molto le loro condizioni economiche, anche se in molti non ammettevano che l’evoluzione fosse stata determinata dalle riforme che in un primo momento li avevano danneggiati. Il principio era condensato nello slogan “lo Stato retrocede, il popolo avanza” (“国退民进”): e in effetti nelle zone a più alta concentrazione di imprese private l’occupazione cresceva velocemente, rispetto alle zone caratterizzate da imprese statali, nei quali ambienti era, ed è ancora, radicato il principio di trovare lavoro tramite raccomandazioni o conoscenze, a scapito della professionalità.

Oggi alcune condizioni che si erano verificate in quegli anni sembrano riemergere: come riporta un articolo del Beijing News, attualmente il mercato del lavoro cinese è particolarmente complesso, molte imprese statali chiudono lasciando senza stipendio i dipendenti, e la tendenza è rafforzata dall’influenza dei grandi gruppi, per cui è probabile che si prepari una nuova ondata di licenziamenti.

Uno dei maggiori problemi delle imprese statali è che reagiscono con lentezza ai cambiamenti del mercato, e dato che peraltro impiegano in genere più personale del necessario sono costrette a licenziare o, in casi meno estremi, a concedere trattamenti economici inferiori alle aspettative. Per quanto il mercato del lavoro sia abbastanza dinamico ed offra buone opportunità, non tutti sono disposti a licenziarsi di propria iniziativa e mettersi alla prova in ambiti nuovi e competitivi.

Un altro ostacolo all’evoluzione delle aziende è rappresentato da vincoli di tipo legislativo: negli anni ’90 per incentivare il ricollocamento dei lavoratori alcune aziende statali avevano concesso modalità di licenziamento agevolato che prevedevano buonuscite generose. Le aziende meno competitive licenziarono i lavoratori in eccesso, riuscendo poi a riacquistare competitività e ad introdursi nel libero mercato. Oggi però questa modalità non sembra replicabile, in quanto non solo la legge non lo consente, ma l’opinione pubblica la avversa con fermezza.

L’autore dell’articolo sostiene però che questo immobilismo comporti solo l’aggravarsi del problema: le aziende in sofferenza sono costrette a ricorrere al sostegno delle banche per sopravvivere, peggiorando ulteriormente la loro gestione finanziaria e produttiva, e ritardando di poco un fallimento inevitabile. Le conseguenze negative si vedranno maggiormente nei territori a più alta concentrazione di imprese statali.

Come sottolinea il giornalista, in un’economia di mercato il licenzianento e ricollocamento delle risorse umane è un fenomeno normale, come si può osservare nel sud della Cina. In queste zone, in particolare nel Guandong, si alternano fasi di diffusa disoccupazione seguite da carenza di personale, in oscillazioni di breve termine che però consentono stabilità nello sviluppo economico sul lungo periodo. Alle condizioni attuali in cui lo stato sociale è più organizzato che in passato, e il licenziamento può rappresentare un passaggio di valore positivo non solo per l’azienda ma anche per il lavoratore. L’obiettivo ulteriore, come insegna l’esperienza, è lasciare fallire le aziende non competitive, ma assicurare alle aziende solide delle riforme che ne liberino il potenziale.

Per ricordare e in quache modo celebrare il lavoro e uno stile di vita ormai scomparso, il sito Sina ha pubblicato una serie di gallerie sul periodo di maggiore incidenza di licenziamenti. Oggi molte delle persone coinvolte, per lo più operai, hanno trovato altri lavori o sono ormai in pensione, ma una parte di lavoratori è rimasta in condizioni di indigenza.

Immagine: il certificato di xiagang e altri documenti di lavoro di Li Qing, un ex saldatore di Wuhan licenziato nel 1996. Fonte.